Un servizio civile da 80mila giovani l’anno: i partiti dicano se ci stanno
di Stefano Arduini
Dialogo con Laura Milani, neo presidente della Conferenza nazionale degli enti (Cnesc): “L’altra priorità è il rilancio dei corpi civili di pace”. Le forze politiche prendano impegni chiari fin da ora
Lo scorso 9 giugno ha raccolto da Licio Palazzini il testimone al vertice della Cnesc (Conferenza nazionale enti servizio civile, il più rappresentativo network di realtà impegnate nel servizio civile universale, con il 34% dei posti finanziati in Italia e il 78% all'estero).
Quarant’anni, vicentina di Thiene anche se da tempo risiede a Imola, sposata e mamma affidataria (“in questo momento in famiglia siamo in tre: io, mio marito e un bimbo in affido, ma per la nostra casa sono già passati altri tre minori e due adulti in questi ultimi anni”), Laura Milani è espressione della Papa Giovanni XXIII, dentro il cui solco sta facendo un’esperienza di vita comunitaria oltre ad esserne la responsabile del servizio civile. E fu proprio il servizio civile la chiave per entrare nel mondo dell’associazione fondata da don Oreste Benzi nel 1968. “Cercavo un’esperienza all’estero, così a cavallo fra il 2005 e il 2006, sono partita per una piccola città del Minas Gerais in Brasile dove per un anno mi sono occupata di minori accolti in casa famiglia e di ragazzi vittime di violenza e/o dipendenze, inseriti in percorsi di recupero. Qui ho scoperto e sperimentato il metodo del Teatro dell’Oppresso e i rudimenti dell’azione educativa legata alla non violenza e alla gestione del conflitto”. Così una volta rientrata in Italia con in tasca una laurea in lettere antiche a Padova, i due propositi di diventare insegnante di latino e greco o in alternativa di prendere la strada del giornalismo finiscono in un cassetto. Milani infatti decide di continuare l’esperienza con la Papa Giovanni XXIII nel campo della formazione e del servizio civile e nel frattempo si ributta nello studio, questa volta verso la laurea magistrale in pedagogia; per tre anni tra il 2015 e 2018 assumerà l’incarico di responsabile dell’Operazione Colomba, il corpo non violento di pace dell’associazione comunità Papa Giovanni XXIII.
Partiamo da qui, dai corpi civili di pace. La fase sperimentale avviata con il decreto del 7 maggio 2015 è ancora in corso, e siamo ancora lontani da aver completato l’avvio dei primi 500 volontari così come prevedeva la sperimentazione, che detto per inciso doveva durare un triennio…
Il terzo avviso per 250 giovani che dovrebbe completare questa fase è stato pubblicato solo a maggio di quest’anno dopo oltre 2 anni di silenzio (la seconda annualità di è conclusa a giugno 2020). Questi ragazzi fra l’altro partiranno non prima del 2023. La pubblicazione dell’avviso è comunque un fatto positivo e probabilmente è frutto dell’impegno assunto dal Governo ad aprile a rilanciare questo strumento, in un momento storico in cui l’Europa sta vivendo una guerra sul suo territorio sarebbe fondamentale mandare un messaggio di pace e non violenza. Vedremo ora che succederà dopo le elezioni.
E invece?
E invece non solo i tempi sono lunghi, rendendo molto difficoltose le programmazioni fra noi enti italiani e i nostri partner locali, ma assistiamo anche al paradosso che l’avviso a lungo ha vietato i progetti in alcune aree di conflitto, proprio quelle in cui avrebbe senso intervenire.
Ci saranno ragioni di sicurezza, no?
Noi come Comunità Papa Giovanni XXIII non abbiamo progettato in Colombia perché l’avviso esclude per questo Paese zone dove sono presenti gruppi armati. Lo stesso dicasi per il Cile nel territorio dove è presente la minoranza dei Mapuche. La legge prevede che i Corpi civili di pace sono “da impegnare in azioni di pace non governative in aree a rischio di conflitto – ovvero già in conflitto – o in caso di emergenze ambientali”. Ci sono rischi? Sì certo, nelle zone di conflitto ci sono, ma sia noi operatori, sia i volontari ne siamo consapevoli, facciamo riferimento a protocolli di sicurezza che sperimentiamo da anni e questa esperienza ha senso proprio e soltanto in queste aree.
Lei arriva alla guida della Cnesc, dopo mesi di grandi tensioni fra gli enti e il ministro in quota 5 Stelle Fabiana Dadone. Ritiene positivo che fra qualche settimana la responsabilità del servizio civile non sarà più in capo a lei?
Il fatto che negli ultimi mesi dopo una lunghissima vacatio sia stato nominato il capo dell’Ufficio nazionale nella persona di Laura Massoli è senz’altro un elemento di semplificazione. Poi certo occorre che il Governo torni a riconoscere l’importanza della Consulta, l’organo di consultazione, riferimento e confronto sull’attuazione del servizio civile. Questo è un fattore determinante assieme al coinvolgimento degli enti di Terzo settore in una reale coprogrammazione e coprogettazione, a partire dalla stesura del piano triennale 2023-2025, per definire i bisogni, gli indirizzi, le priorità sulla base delle quali progettare.
Quest’anno ricorre il 50esimo anniversario della legge sull’obiezione di coscienza da cui è nato il servizio civile: mi dà tre priorità per rilanciare questo istituto?
La prima è cambiare la narrazione e la comunicazione pubblica sul servizio civile, la cui finalità è la difesa non violenta della patria, non uno strumento di occupabilità per i giovani. Lo ribadiremo anche in occasione del Festival del Servizio Civile che terremo a Roma il 9 e 10 settembre. Della seconda leva abbiamo già detto: un rilancio importante dei corpi civili di pace e del servizio civile all’estero. Terzo punto: la questione della stabilizzazione dei fondi.
Con quale obiettivo?
L’orizzonte è quello dell’universalità del servizio civile, ovvero dare la possibilità a tutti quelli che lo vogliano fare di potervi accedere. Ma per arrivarci occorre procedere per step e incominciare a stabilizzare i numeri, altrimenti sia per i ragazzi, sia per gli enti ogni anno è terno al lotto. Primo passo: un contingente annuale da 80mila giovani per il prossimo triennio. Servono circa 500 milioni l’anno. Le forze politiche che si stanno apprestando alla campagna elettorale, si sentono di garantire questi numeri? Oggi è questa la domanda a cui devono rispondere.