Licio Palazzini: dal servizio civile un’Agenda per l’Italia
Il Presidente della Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile (CNESC), ci offre in questa intervista spunti preziosi per la costruzione di una società più inclusiva per tutti, soprattutto per i giovani. Un tema prioritario anche per l’Agenda 2025 della Sclerosi Multipla, che stiamo scrivendo insieme
«Pensando al futuro della nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho incontrato in questi anni. Giovani che si impegnano nel volontariato, giovani che si distinguono negli studi, giovani che amano il proprio lavoro», ha detto il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine 2021. L’accenno ai giovani e al volontariato è prezioso anche per un’Associazione come la nostra che, da anni, è per i giovani un campo fecondo per essere protagonisti, in molti modi.
Qui parliamo con Licio Palazzini, Presidente CNESC- Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile, di cui AISM è socia attiva da lungo tempo, di una delle esperienze decisive che, da molti anni, coinvolge i giovani: il servizio civile. È una frontiera di inclusione reale per i giovani, una scuola per diventare protagonisti del proprio futuro e della società? Quali le criticità da migliorare? Quali le sfide da non mancare, le priorità sui giovani per l’agenda dell’Italia dei prossimi anni? E come si connettono con le priorità dell’Agenda 2025 della Sclerosi Multipla che stiamo scrivendo insieme?
«Il servizio civile in Italia vuole essere strumento di inclusione e crescita per tutti i giovani – dice Palazzini -. In CNESC è un’esperienza finalizzata a generare il miglioramento della qualità della vita delle persone, delle condizioni ambientali, così come la tutela dei beni del Paese, concorrendo così in modo civile e non armato alla difesa della Patria. Inoltre, il servizio civile amplia le opportunità di educazione e di formazione. Durante l’anno di servizio civile tutti i giovani, qualsiasi sia il loro titolo di studio, ambiente familiare, humus sociale, acquisiscono capacità maggiori rispetto a quelle che avevano o ne acquisiscono di nuove. Tutti acquisiscono strumenti per affrontare i conflitti e le difficoltà. In prima persona, perché le capacità individuali debbono essere amplificate attraverso il gioco di squadra, che deve far sentire i giovani liberi di esprimersi. Insieme, perché da soli non si risolvono i problemi. Più allargheremo la base dei giovani che vivono questa esperienza e più daremo solide fondamenta a una società inclusiva e solidale».
Il servizio civile nacque nel 1972, la Legge 772 del 15 dicembre riconobbe, seppur parzialmente, il “diritto all’obiezione di coscienza”: allora i giovani coinvolti erano poche decine. Cinquant’anni dopo, con il prossimo Bando, partiranno per il servizio civile più di 54 mila giovani: è una traiettoria significativa o dobbiamo migliorare?
«Si fa molta retorica sulla “Next Generation” e poi abbiamo politiche reali che, a fronte delle 120.000 domande di servizio civile pervenute al precedente Bando, stanziano per il Bando 2022 risorse per 54.181 posizioni. Eppure lo stesso Dipartimento Politiche Giovanili e Servizio Civile Universale ha valutato positivamente la capacità degli enti pubblici e privati di offrire in totale 76.639 posizioni. Subito dopo l’elezione del Capo dello Stato, noi di CNESC andremo immediatamente a confrontarci con il Governo e il Parlamento per migliorare lo stato delle cose».
Cosa chiederemo, come CNESC?
«Al Governo ricorderemo di onorare l’impegno di aggiungere risorse aggiuntive per arrivare a coprire almeno 60.000 posizioni nel 2022, cui aggiungere quelle per il bando tematico “servizio civile digitale” e per il bando tematico “servizio civile ambientale”. Il Parlamento a sua volta dovrà prendere consapevolezza che le risorse statali impegnate per il Servizio civile, secondo la Legge di stabilità, andranno a calare nei prossimi anni. E quindi rischieremo di non avere, nel futuro, neanche i finanziamenti per i 55 mila previsti nel 2022. Il Parlamento inoltre va reso consapevole che sarà decisiva l’attuazione reale della co-progettazione e della co-programmazione: il Terzo Settore deve partecipare insieme allo Stato e alle Regioni a definire quali devono essere gli obiettivi e la programmazione del futuro triennio».
Al di là del servizio civile, strumento di inclusione per un anno, i giovani fanno poi fatica a trovare il proprio posto in società, da tanti punti di vista. Quali le sfide da affrontare per una società inclusiva, la cui realtà è prioritaria anche per la futura Agenda 2025 della Sclerosi Multipla?
«La nostra dovrà essere una società che dal modello valoriale a quello istituzionale ed economico inverta l’inverno demografico, la caduta demografica. Serve una vera politica di sostegno alla natalità e all’ingresso dei giovani nella vita economica, del lavoro, sociale. Dobbiamo fare in modo che i giovani, anche quelli con sclerosi multipla, abbiano condizioni reali per diventare padri e madri e inserirsi in modo non precario nel mondo del lavoro».
È anche un compito del Terzo Settore?
«La transizione ecologica e la transizione digitale, la sostenibilità economica, cui sono legate le immense risorse del PNRR, sono sacrosante e ineludibili. Ma proprio noi enti di Terzo Settore dobbiamo vigilare perché al centro delle politiche ci sia anche la transizione sociale: nessuna innovazione dovrà rischiare di acuire ulteriormente le diseguaglianze sociali. Le risorse europee nei prossimi anni dovranno produrre effettivi posti di lavoro stabili per i giovani e processi di pieno protagonismo civico per tutti, in condizioni di pari opportunità».
Quali priorità dobbiamo inserire nelle nostre agende di enti del Terzo Settore e dunque in quelle della nazione?
«Dobbiamo continuare a porre la cura e l’accoglienza di tutti verso tutti come seme ostinato di futuro, come driver delle scelte politiche ed economiche».
Il servizio civile è importante anche per mostrare all’Italia una via per il superamento delle differenze e discriminazioni di genere?
«Dal 2001, mediamente il 65% delle domande di servizio civile viene dalle ragazze. Nel nostro mondo la discriminazione di genere è già superata. Credo però che la nuova sfida, nel mondo del servizio civile come in tutta la società, sia quella di prendere seriamente in considerazione quella che fra gli adolescenti oggi viene vissuto come “genere liquido”, né maschile né femminile. Dobbiamo noi per primi mettere attenzione al tema del “rispetto” di ogni tipo di genere. Più in generale, dobbiamo poi uscire da una fase di sperimentazione legata alle cosiddette “minori opportunità” e rendere strutturale le misure tese a garantire piena partecipazione al sistema del servizio civile da parte dei giovani con disabilità».
Cosa stanno insegnando i giovani in servizio civile agli adulti, alle nostre organizzazioni, alle nostre progettazioni?
«Senza pretesa di scientificità, penso che i giovani ci stiano insegnando che il nostro tempo non è il loro tempo. Hanno una concezione del tempo molto più veloce, raccorciata. Dobbiamo venirci incontro, imparare la velocità e insegnare il valore del giusto tempo perché i frutti maturino. Inoltre, i giovani ci chiedono di lavorare insieme. Vogliono essere valorizzati ed essere presi come pari nelle nostre organizzazioni, pur sapendo che ci sono diverse responsabilità e diversi talenti».
Cosa possono e devono imparare i giovani nell’impegno di volontariato?
«Per quel che mi riguarda, i giovani faticano tanto a superare il sé per aprirsi al noi, per diventare un io che è tale solo con gli altri. È urgente aiutare i giovani ad accogliere gli altri dentro di sé. Nel Terzo Settore questa è la vera sfida del futuro: far sì che i giovani entrino in prima fila insieme alla generazione dei fondatori, che stiano insieme a noi impegnati da decenni in questo campo e che restino dopo di noi. Quando percepiscono di essere protagonisti, i giovani danno tutto».